“I diseredati, ovvero l’urgenza di trasmettere”, di Francois – Xavier Bellamy, ed edito da Itaca è un testo molto interessante, profondo e di facile lettura.
La crisi della cultura non deriva da mancanza di mezzi, di finanziamenti o da problemi di gestione; è uno sconvolgimento interiore.
Nelle nostre civiltà occidentali si è verificato un fenomeno unico, una rottura inedita: una generazione ha rifiutato di trasmettere a quella successiva ciò che aveva da offrirle, l’insieme del sapere, dei riferimenti, dell’esperienza umana immemorabile che costituiva la sua eredità.
“Non avete nulla da trasmettere”: parole pronunciate da un ispettore generale addetto alla formazione di giovani insegnanti in Francia.
La cultura ha come caratteristica propria l’essere comunicata. Smettere di imporre ai nostri discenti quel fardello scaduto che il passato scaricherebbe sulla loro nuova libertà: ecco il progetto che ci viene proposto.
Ormai bisogna fare in modo che ogni ragazzo possa produrre da sé il proprio sapere, al fine di crearsi un cammino personale.
Abbiamo smarrito il senso della cultura.
Essa è diventata per noi, nel migliore dei casi, un lusso inutile; nel peggiore, un bagaglio ingombrante.
Certo, visitiamo ancora i musei, andiamo al cinema, ascoltiamo musica; non abbiamo perciò rigettato la cultura in modo consapevole. Ma non ci interessa più se non sotto forma di divertimento superficiale, di piacere intelligente o di diletto decorativo.
Vogliamo ancora educare, ma non vogliamo più trasmettere.
Non sono gli insegnanti ad essere diventati improvvisamente mediocri, non sono i genitori in massa ad aver dimenticato le loro responsabilità. Si è solamente affidata loro una missione impossibile, impensabile. La società ha chiesto loro di educare, pur lasciando il bambino libero da ogni traccia di autorità, sollevato dal peso si una cultura anteriore alla sua individualità.
Vogliamo assolutamente educare i giovani al rispetto, alla tolleranza, alla cittadinanza…Ma ciò, a quanto pare, a prescindere dalla trasmettere.
La trasmissione – così dice il nostro inconscio collettivo – è un’alienazione, perché toglie al bambino la possibilità di costruire da solo i propri riferimenti, di fare le proprie scelte, di adottare in modo individuale i propri valori.
La trasmissione è un’alienazione.
Oggi la gioventù è povera di tutto quanto non le è stato trasmesso, di tutta la ricchezza di questa cultura che, nella maggior parte, non capisce più. Disorientata, squilibrata, torna spesso all’ultimo modo di espressione che rimane a disposizione di colui che non ha più parole per parlare: la violenza.
Ecco il risultato del nostro progetto. Volevamo rifiutare le eredità; abbiamo creato dei diseredati.
Da dove proviene lo sguardo che posiamo oggi sulla cultura? Si pensa di solito che le nostre società europee siano colpite da una crisi delle istituzioni…
Ma la dissoluzione della cultura è nata dalla cultura stessa: e la crisi della trasmissione che la caratterizza è il risultato non di un incidente congiunturale, bensì di una critica molto profonda, la cui genesi si estende su più secoli.
Cartesio: “Mi trovai imbarazzato da tanti dubbi ed errori che mi parve di non aver tratto altro profitto dai miei tentativi di istruirmi che quello di aver scoperto sempre di più la mia ignoranza. Eppure mi trovavo in una delle più celebri scuole d’Europa…”.
Per Cartesio la scuola è sconfortante. A cosa potrebbe servire, dal momento che niente di quanto essa trasmette riesce a sfuggire a una definitiva incertezza?
Ad aver spinto Cartesio a viaggiare è stato innanzitutto il desiderio di affrnacarsi da un asservimento per costruire autonomamente il proprio sapere.
Ma si accorge che alla diversità delle opinioni che aveva letto nei libri si aggiunge la diversità dei costumi osservati da un luogo all’altro.
Arriva a concludere che la cultura altera, deforma la nostra natura.
E’ la scuola a essere il luogo principale di questa deformazione, di questo allontanamento dalla natura. Il giovane vi impara a non essere più se stesso.
Allontaniamoci dai libri; sostituiamo l’incertezza del sapere ricevuto con la certezza dell’unica conoscenza legittima, quella che ciascuno può costruire da sé. Scegliamo da soli la nostra strada. Solo le idee prodotte dalla nostra ragione risulteranno chiare e distinte e quindi non soggette al dubbio.
L’insegnante deve introdurre il bambino non a delle conoscenze, ma all’esercizio del dubbio, ossia quello che la nostra pedagogia chiama spirito critico.
La scuola ideale dovrebbe essere il primo luogo della decostruzione concepita quale garanzia di libertà nella ricerca della verità.
La trasmissione è un abuso della debolezza altrui.
L’uomo moderno ha individuato il proprio nemico: la trasmissione, la tradizione. Per ritrovare la purezza e la saldezza del suo giudizio, egli si deve liberare della cultura e deve tornare al lume naturale della ragione.
Per Rousseau il progresso della civiltà ha reso l’uomo cattivo e infelice. Più l’uomo ha perfezionato la cultura, più si è smarrito allontanandosi dalla natura.
Rileggendo l’Emile ci si rende conto che quanto spesso viene considerato una sconfitta dell’educazione contemporanea, è in realtà un successo, la completa riuscita di una teoria perfettamente esplicita, quella del rifiuto assoluto della trasmissione delle conoscenze.
L’insegnante non deve trasmettere un sapere, bensì farsi organizzatore delle situazioni nelle quali l’allievo costruirà il proprio sapere.
“non mi stancherò mai di ripetere che diamo troppa importanza alle parole”. Dietro a questa “istruzione tramite le cose” vi è la volontà di sottrarre all’educazione ogni dimensione intersoggettiva, ogni mediazione umana.