Epilogo di “Delitto e castigo” – Dovstoevskij

Dall’epilogo di “Delitto e castigo”,
di Dovstoevskij

Raskòl’nikov sedeva, guardava senza muoversi, senza staccare lo sguardo;
il suo pensiero passava dalle fantasticherie alla pura contemplazione; non pensava a nulla, ma
una sorta di angoscia l’agitava e lo tormentava.
All’improvviso accanto a lui apparve Sonja. Gli si accostò con passo appena udibile e gli sedette accanto.
Era ancora molto presto, la frescura mattutina non s’era ancora smorzata, Sonja indossava la sua vecchia
e povera mantellina e lo scialle verde. Il suo volto portava i segni della malattia, era smagrito, pallido
ed emaciato. Gli sorrideva con affetto e con gioia, e, secondo la sua abitudine,
gli  porse timidamente la mano.
Gli protendeva sempre timidamente la mano, a volte persino non gliela porgeva, come se temesse che egli
potesse respingerla. Lui le prendeva sempre la mano con una sorta di repulsione, in genere la accoglieva sempre
con stizza, alle volte taceva ostinatamente per tutta la durata del loro incontro.
Capitava che Sonja tremasse dinanzi a lui, e se ne andasse profondamente afflitta. Ma adesso le loro mani non si
disgiunsero; egli le lanciò un’occhiata rapida e di sfuggita, non disse nulla e abbassò gli occhi a terra. Erano soli,
nessuno li vedeva. In quel momento la guardia di scorta si era voltata.
Come accadde, lui stesso non lo sapeva, ma all’improvviso fu come se qualcosa l’avesse afferrato e buttato ai piedi di lei. Piangeva e
le abbracciava le ginocchia. In un primo istante Sonja si spaventò terribilmente, e il suo volto divenne mortalmente pallido.
Balzò in piedi e, tremando, lo guardò. ma subito, in quello stesso istante, comprese ogni cosa.
Nei suoi occhi risplendete una sconfinata felicità; aveva capito, e per lei ormai non c’era più
dubbio alcuno, che lui l’amava, l’amava sconfinatamente, e che finalmente era giunto il momento…
Volevano parlare, ma non riuscivano. Avevano le lacrime agli occhi. Entrambi erano palli di e magri; ma in quei volti pallidi
e malati gi splendeva l’alba di una rinnovata, futura e completa resurrezione in una nuova vita. Li faceva risorgere
l’amore, il cuore di ognuno di loro racchiudeva infinite fonti di vita per il cuore dell’altro.
Decisero di aspettare e di pazientare. Avevano ancora davanti sette anni; e, fino a quel momento, quanto intollerabile
tormento e quanta sconfinata felicità! ma lui era risorto, e lo sapeva, sentiva pienamente con tutto i suo essere
rinnovato, e lei, lei viveva soltanto della vita di lui!
la sera di quello stesso giorno, quando avevano già chiuso i dormitori, Raskòl’nikov stava disteso sulla sua branda
e pensava a lei. Quel giorno gli era persino sembrato che tutti i forzati, che fino a quel momento gli erano stati
ostili, lo guardassero ormai in modo diverso. Era stato persino lui ad attaccar discorso con loro,
e quelli gli avevano risposto affabilmente. Adesso se ne ricordò, ma era dunque così che doveva essere: non doveva
forse cambiare tutto quanto, adesso?
pensava a lei. Ricordò come l’aveva costantemente tormentata e fatta soffrire: ricordò il suo visetto pallido, smagrito,
ma adesso questo ricordo quasi non gli diede dolore: sapeva con quale amore sconfinato avrebbe ripagato tutte
le sofferenze di lei.
E cos’erano poi tutte, tutte le sofferenze del passato! Tutto, persino il suo delitto, persino la condanna e la deportazione
adesso gli sembravano, in quel primo impulso, una sorta di evento esteriore, strano, quasi che non fosse nemmeno capitato a lui. D’altronde quella sera non poté pensare a lungo con costanza a qualcosa, non riuscì a concentrare il pensiero su un
punto preciso; non sarebbe stato nemmeno in grado di risolvere qualcosa consapevolmente;
poteva solo sentire. Al posto della dialettica si stava facendo avanti la vita, e nella coscienza si stava elaborando
qualcosa di completamente diverso.
Sotto il cuscino era riposto il Vangelo. Lo prese macchinalmente. Quel libro apparteneva a lei, era lo stesso dal quale gli aveva letto della ressurrezione di Lazzaro. All’inizio della galera sui aveva pensato che lei l’avrebbe afflitto con la
religione che avrebbe parlato del Vangelo e gli avrebbe accollato dei libri da leggere. Ma, con suo grandissimo stupore,
lei non ne aveva parlato nemmeno una volta, nemmeno una volta gli aveva offerto il Vangelo.
Era stato lui stesso a chiederglielo poco tempo prima della sua malattia, e lei
gli aveva portato il libro in silenzio. Fino a quel momento Raskòl’nikov non l’aveva nemmeno aperto.
Non lo aprì nemmeno adesso, ma un pensiero gli passò per la testa: “E’ forse possibile che adesso le sue convinzioni non siano anche le mie? Perlomeno i suoi sentimenti, le sue aspirazioni…”.
Anche lei per tutta quella giornata fu molto agitata, e la notte s ‘ammalò nuovamente. Ma era a tal punto felice che quasi
aveva paura della propria felicità. Sette anni, soltanto sette anni! All’inizio della loro felicità, in quei primi momenti, erano entrambi pronti a considerare quei sette anni come sette giorni. Egli nemmeno sapeva che questa nuova vita non gli veniva data così, senza pagar nulla in cambio, ma che bisognava ancora comprarla
a caro prezzo, pagarla con grande impresa futura…

Ma a questo punto ha ormai inizio una nuova storia, la storia del graduale rinnovamento dell’uomo, la storia della sua graduale rigenerazione, del graduale passaggio da un mondo all’altro, dell’incontro con una
realtà nuova, fino a quel momento completamente sconosciuta.
Questo potrebbe costituire l’argomento di un nuovo racconto, ma intanto il nostro è finito

One thought on “Epilogo di “Delitto e castigo” – Dovstoevskij

  1. Grazie. La cura nella scelta delle parole e la descrizione dei sentimenti, delle sensazioni, confermano ancora una volta il grande torto dei nostri tempi verso gli scrittori russi e la cultura russa. Così vicini a noi europei. Tutto ciò perché il Nuovo Mondo, e tutto quanto questo aggettivo comporta anche nel terzo millennio, ci ha proposto e propone modelli a noi europei non consoni. Sob.

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