Ho letto di recente un saggio di Miguel Benasayag e Gerard Schmit,
trovato per caso nel mio peregrinare in una nota libreria di corso Buenos Aires.
Si intitola “L’epoca delle passioni tristi”, edito da Feltrinelli.
L’ho trovato molto interessante per i ricchi e non banali spunti
di riflessione utili per chi si occupa di educazione.
Vi riporto qualche frase, liberamente presa, per farvi venire un po’ di appetito 🙂
Viviamo in un’epoca dominata da quelle che Spinoza chiamava
le “passioni tristi”.
..dobbiamo fare i conti con la perdita di fiducia e con la delusione nei confronti di quelle stesse scienze che non sembrano può contribuire necessariamente alla felicità degli uomini. La scienza era destinata a dissipare le tenebre dell’incertezza.
Per questo positivismo scientista, il razionale era l’autenticamente prevedibile:
l’uomo sarebbe stato in grado di conoscere tutto, la sua conoscenza sarebbe stata quella di una luce senza ombre e, soprattutto, avrebbe dovuto prevedere tutto ciò che poteva accadere per poter decidere con esattezza quale direzione
imprimere alla sua vita e alla societa’.
La speranza era quella di un sapere globale, capace di spiegare le leggi del reale e della natura per poterli dominare.
Libero è colui che domina: questo era il fondamento dello scientismo positivista. Il XX secolo ha segnato la fine dell’ideale positivista portando gli uomini nell’incertezza.
Questa incertezza, peraltro, non significa una sconfitta della ragione: contrariamente al parere di molti contemporanei che tendono ad imboccare le diverse vie dell’irrazionalismo, l’incertezza che persiste, quell’incognita che vanifica la promessa
dello scientismo, non è affatto, a nostro parere, sinonimo di fallimento.
Il fatto che il determinismo e lo scientismo siano caduti dal piedistallo non implica affatto il crollo della razionalità che essi avevano arbitrariamente monopolizzato.
…
Il mondo diventa per ognuno, e per i giovani in particolare, davvero incomprensibile.
Non stupisce allora che all’ombra di tale impotenza si sviluppi la pratica dei videogiochi in cui ogni giovane, in una sorta di autismo informatico, diventa padrone del mondo in battaglie individuali contro il nulla.
E’ in questa onnipotenza virtuale che le nostre società sembrano abbandonare la sfera del pensiero.
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Uno dei sintomi più significativi della nostra epoca è la contestazione del principio di autorità. La difficoltà dei genitori ad assumere una posizione di autorità rassicurante e “contenitiva” lascia il bambino solo di fronte alle proprie pulsioni
e all’ansia che ne deriva.
Paradossalmente alla crisi del principio di autorità non corrisponde affatto una messa in discussione dell’autoritarismo. Anzi proprio questa crisi apre la strada a varie forme di autoritarismo. Una società i cui i meccanismi di autorità sono indeboliti, lungi dall’inaugurare un’epoca di libertà, entra in un periodo di arbitrarietà e di confusione.
Questa società oscilla costantemente tra due tentazioni: quella delle coercizione e quella delle seduzione di tipo commerciale.
Cosi’ alcuni insegnanti cercano a volte di ottenere l’attenzione dei loro allievi mediante astuzie e tecniche di seduzione, perche’ la sola idea di dire sono “responsabile” di questa relazione sembra ormai inammissibile.
In nome della presun libertà individuale i giovani assumono il ruolo di clienti che accettano o rifiutano ciò che l'”adulto venditore” propone loro. E quando questa strategia fallisce, non rimane altra via che quella di ricorrere alla
coercizione e alla forza bruta.
Il principio di autorità è fondato sull’esistenza di un bene condiviso, di un medesimo obiettivo per tutti: io ti ubbidisco perchè tu rappresenti per me l’invito a dirigersi verso questo obiettivo comune.
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La nostra società ha prodotto una ideologia della crisi.
E allora come è possibile educare, trasmettere e integrare i giovani in una cultura che non solo ha perduto il proprio fondamento principale, ma l’ha visto trasformarsi nel suo contrario, nel momento in cui il futuro – promessa è diventato futuro – minaccia?
Si tratta del passaggio dal desiderio alla minaccia.
Per il ragazzo il voto diventa precocemente equivalente al salario per i genitori.
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L’insuccesso scolastico viene considerato un insuccesso nella vita…
…i problemi di apprendimento sono rivelatori di una difficoltà di desiderare nella vita, di desiderare la vita.
Evidentemente, perchè questa dinamica di lavoro funzioni, occorre che gli adulti considerino il futuro e ciò che deve essere costruito qualcosa di positivo e desiderabile; ma gli adulti temono l’avvenire e quindi cercano di formare i loro
figli in modo che siano armati nei suoi confronti.
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Per molti è chiaro ed evidente che non ci si può concedere il lusso di imparare cose che non servono…
E che gli sforzi di tutti, allievi ed insegnanti, devono essere tesi alla ricerca delle competenze migliori e dei diplomi più qualificati, sola garanzia di sopravvivenza in questo mondo pieno di pericoli e di insicurezza.
Vedendo un giardiniere, per esempio, non si può dire: “quest’uomo ha scelto questo mestiero perchè gli piace!”.
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In mancanza di un nuovo “Noè” gli uomini e le donne gridano “si salvi chi può!”,
giacchè questa è la consegna dettata dal nuovo spirito dei tempi.
Oggi sappiamo benissimo che la perdita di ideali e la tristezza hanno portato la nostra società
ad abbandonare un tipo di educazione fodnato sul desiderio. L’educazione dei nostri figli non
è più un invito a desiderare il mondo: si educa in funzione di una minaccia, si insegna
a temere il mondo, a uscirne indenni dai pericoli incombenti.
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“Lavorare per l’autonomia delle persone”: questo potrebbe essere il motto dell’attuale
ideologia dominante.
Non è inutile ricordare che per Aristotele è lo schiavo colui che non ha legami, che non ha un suo posto, che si può utilizzare dappertutto e in diversi modi.
L’uomo libero è invece colui che ha molti legami e molti obblighi verso gli altri. Paradossalmente quindi la nostra società è riuscita a forgiare un ideale di libertà che assomiglia, come una goccia d’acqua, alla vita dello schiavo così come la definiva Aristotele.
San Paolo si riferisce alla libertà dicendo: sono incatenato alla mia libertà.
Per questi saggi la libertà non si costruisce attraverso una specie di autonomia o di isolamento individuale, ma attraverso lo sviluppo di legami: sono questi ce ci rendono liberi.
I legami non sono limiti dell’io, ma ciò che conferisce potenza alla mia libertà e al mio essere.
Miguel Benasayag e Gerard Schmit