Il numero è il segno dell’equivalente, dell’indifferente, del sostituibile, insomma dello scambio e del mercato. Il reale invece non si lascia comunicare fino in fondo da quel segno, appunto perché è costituito di esseri, di cose, di atti, di luoghi e di persone insostituibili gli uni con gli altri: a costituirlo è l’unico – e proprio dell’unico è non appartenere ad alcuna sequenza numerica. Gli amici non si collezionano, un amico non può essere sostituito da un altro. […]
Per ritrovare il contatto con la propria vita, occorre ritrovare il senso dell’unico che sempre la pervade e la anima. Occorre pertanto ritrovare il senso delle parole. La parola, infatti, esprime quanto vi è di singolare nell’oggetto, di diverso da qualunque altro. […]
Nessun calcolo può tradurre la dimensione inestimabile della realtà vissuta. Solo il linguaggio ne è capace e, in particolar modo, l’uso del linguaggio che rinuncia per principio a qualsiasi tentazione di controllo tecnico, utilitario, interessato, a qualsiasi calcolo sulle cose: la letteratura, la poesia.
Intendiamoci bene: non si tratta di erigere un culto idolatrico in onore della lettera e di disprezzare il numero. Esiste una cattiva letteratura e tanti calcoli indispensabili. Tuttavia, in un mondo invaso dall’onnipresenza del digitale e dalla liquefazione della parola, mi sembra che la massima emergenza politica sia quella della resurrezione del linguaggio: occorre ritrovare il senso del reale, il che presuppone ritrovare il senso delle parole. Vale a dire, senza la minima astrazione, che la massima emergenza politica è in realtà emergenza poetica.
La letteratura si distingue per il suo richiamarci sempre al reale, a quel reale che esiste solo per le resistenze che ci impone. […]
Alla pressione a favore del cambiamento, della sostituzione universale, occorre rispondere rinnovando il significato del valore delle cose che abbiamo fra mani.
La letteratura appunto, ancora una volta, risponde al nostro bisogno di meravigliarci: la poesia non fa altro che esprimere il reale e manifestarne la bellezza…La vita merita di essere detta, considerata, contemplata: è questo il ruolo della poesia. […]
Questo richiamo alla necessità della poesia non intende fare riferimento a forme estetiche o regole di versificazione; si tratta invece di un certo rapporto con il mondo, di un certo uso della lingua, i quali esprimono il bisogno di contemplare piuttosto che di trasformare. Può sembrare strano che la letteratura venga indicata quale risposta ai problemi molto concreti di cui si è parlato finora: l’atteggiamento poetico è per lo più percepito come privo di effetti, come materialmente inefficace. Il linguaggio che descrive il reale non aggiunge nulla al reale che descrive. In particolare, quando viene usato poeticamente, non consente alcuna azione: desta soltanto l’attenzione sulle realtà presenti e, appunto per questo, la poesia è quanto mai necessaria. Infatti, per risolvere la crisi attuale non serve tanto l’azione quanto l’attenzione ritrovata, non per fermare l’azione, ma per ridarle un senso, orientandola nuovamente verso ciò che è degno di attenzione e preservando ciò che richiede attenzione. Contemplare il reale vuol dire indugiare prima di trasformarlo.
Il tempo dedicato alla contemplazione è oggi l’unica scelta in grado di salvare il mondo, salvando l’uomo dalla negazione della realtà, il cui fascino per il proprio potere lo ha travolto. Consente di dare un nome a ciò che resiste all’azione, a ciò che permane, per conferirgli un significato. […]
Salvare il reale dal risentimento e dalla passione per il cambiamento richiede oggi un primo atto di resistenza, che consiste nel riconciliarsi con il verbo, nel preservare il potere significante delle parole, l’unico a poter restituire il suo vero significato all’avventura della libertà, fondando le parole su ciò che permane.
Tratto da Francoise-Xavier Bellamy, Dimora, per sfuggire al movimento perpetuo, ed Itaca. Un libro da comprare!!