Termini e parole* – Roberto Filippetti

Le parole sono importanti” urlava Nanni Moretti in quel vecchio film. S’intitolava Palombella rossa. Le parole sono palombelle nella pallanuoto.Le parole sono pallonetti sopra la barriera. Vedi la palla salire a giro, due dita sopra la testa di quello spilungone che salta, ed entrare lì nell’angolino.

Goal!

Le parole superano le barriere e fanno goal. Un tempo le parole si distendevano in forma di parabole, parabolè. La gente andava in piazza – nell’agorà o nell’Areopago – a parabolare: a parlare. Quando sono arrivate a Roma, hanno scoperto che il padrone di casa era il dio Termino, a guardia del confine. Cioè a fare barriera. Quei due lì, essendo stati allattati dalla lupa, si guardavano in cagnesco (si può dire in “lupesco”?). Un giorno uno ha scavalcato il solco di confine e l’altro lo ha ammazzato. Si chiamavano Romolo e Remo. Erano fratelli. Fratelli coltelli. Vietato scavalcare. Vietato superare la barriera. Solo termini e niente pallonetti. Solo fines: “con-fini” ben “de-finiti”, ben “de-terminati”. I termini che venivano anche loro da Atene, dove si chiamavano “peri-metri”. Misurare attorno. Certo, questo è necessario, ma da solo è soffocante. Un giorno a Roma è arrivato Pietro, un pescatore (un peccatore) abituato a guardare l’orizzonte. Magari un piccolo orizzonte di Palestina: quello del lago di Tiberiade. Prova tu a tirar su barriere e confini sul mare. O a scavare solchi. Lui l’ha solcato in lungo e in largo quel pescoso lago. Per un po’ s’è vista una scia di schiuma bianca che pareva inseguirli a poppa, quando la barca filava veloce a fianco di quella guidata da Giacomo e Giovanni. Due belle scie bianche, parallele.

Non ne è mai rimasto niente. Pietro portava con sé una bella partita: una sessantina d’anni prima la Parola si era fatta carne. Una carne d’uomo morto in croce e risorto. Quando andavi a dire una roba così all’Areopago, i greci facevano certe facce! Lo sapeva bene quel piccoletto di Saulo, diventato Paolo (piccolo, appunto). Però Pietro e Paolo avevano visto con i loro occhi. Erano certi. “Una volta l’ho rinnegato…anzi tre, ma adesso piuttosto mi faccio ammazzare”. E hanno crocifisso anche Pietro, a testa in giù. Al “piccolo” hanno tagliato la testa. Gente pericolosa, da sterminare prima che cominci il “passa-parola”. Non ci sono tuttavia riusciti. Quella loro strana pretesa ne ha fatta di strada! Mosaici sfavillanti, un bianco manto di cattedrali, affreschi, vetrate, tavole, tele: parole per gli occhi.

E’ arrivato Cartesio e ha provato a imprigionare e parabole tra ascisse e ordinate; passano cent’anni e arrivano gli illuministi, altri cent’anni e arrivano i positivisti: tutti col metro in mano, tutti a “perì-metrare”. Sembra…finita.

Ma ecco che fiorisce un Blaise Pascal, un Leopardi, un Pascoli, un Andersen, un Ungaretti. E tornano a dire parole smisurate, infinite. Parole bambine, parole che portano frutto.

Il re è nudo.

  • Tratto dal libro: Roberto Filippetti – “Il desiderio e l’allodola. Etimologie: l’attrattiva delle parole“. Itaca Libri.

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