Bellamy: sulla cultura, il linguaggio, i libri*

L’uomo senza cultura sembra estraneo alla propria umanità.

La cultura non è un lusso riservato ad un’ élite, un artificio per i privilegiati, ma, al contrario, un bisogno fondamentale di ogni essere umano.

La trasmissione della cultura ha infatti una portata essenziale: ciò che fa crescere e sviluppa non sono le cose acquisite, l’avere, il capitale culturale dell’uomo, ma il suo stesso essere.

La missione dell’educatore non è dunque quella di sovraccaricare le spalle del bambino con il minimo indispensabile di un bagaglio di cui avrà bisogno in futuro per affrontare la competizione economica. Ridurre l’insegnamento alla preparazione per la vita professionale significa ingannarsi sulla sua stessa missione e sottovalutare la sua reale importanza. Offrendo al bambino la cultura mediante la trasmissione, l’educatore gli apre la strada che l porterà verso sé stesso.

Il sapere non è un contenuto che occupi spazio nel contenitore della nostra mente.

L cultura ci trasforma, dunque, non per farci diventare altri, ma per condurci a noi stessi, per farci crescere con le nostre stesse capacità e farci riconoscere per quello che siamo.

Non c’è niente di più bello dell’imparare a memoria: significa ricevere pienamente una particella di quell’immensa eredità che non si finisce mai di scoprire. La stessa espressione francese per “imparare a memoria”, apprendere par coeur, dice chiaramente l’unità dell’intelligenza e della sensibilità, accresciute entrambe da quello che ci è trasmesso. Imparare a memoria significa lasciare che un testo, una musica, un sapere, vengano dentro di noi, ci trasformino, ci elevino e amplino la nostra mente e il nostro cuore fino alla loro altezza.

La strada tra me e me stesso passa inevitabilmente dalla mediazione di un altro, dalla mediazione di quella eredità che ci viene trasmessa da un’umanità che, con il lavoro delle civiltà, si rivolge anch’essa verso sé stessa e tenta di essere un po’ più umana.

Le parole non sono degli strumenti che si sommano al nostro pensiero: in esse può nascere il pensiero.

Da questo punto di vista è impossibile ridurre la lingua ad un mero artificio contingente e considerare arbitrarie la sua grammatica, la sua sintassi e la sua ortografia. Con le regole e le sue restrizioni, nella lingua prendono forma un pensiero, il ritmo che lo struttura, l’esigenza che lo porta a compimento.

L’ortografia, ad esempio, è necessaria non solo per avere successo nella società: è necessaria per pensare.

Abbiamo bisogno di una lingua non solo per comunicare, ma anche per vivere la nostra vita interiore.

Il libro, questo pesante fossile, sembra reso definitivamente obsoleto dalle promesse della dematerializzazione digitale. Nel nostro mondo dell’immediatezza, dominato dall’onnipresenza della tecnologia, è diventato incredibilmente difficile dedicare al percorso della lettura la concentrazione che richiede.

Un libro, infatti, è un percorso: serve tempo per seguirlo. Questa è la sua principale differenza rispetto all’immagine, che si lascia cogliere dall’instantaneità dello sguardo. Per cogliere i contenuti di un testo, occorre leggerne ogni riga. Ora, la durata imposta dalla linearità del libro, è ormai il nostro peggior nemico: ossessionato dalla velocità, rendiamo sempre più veloce l’accesso all’informazione con la maggiore performance delle reti ovunque accessibili.

La lettura ci colloca all’opposto della logica digitale: sembra appartenere già alla storia dell’informazione.

La pratica del presente è scaricare dati, di cui vorremmo annullarne la durata, per raggiungere, finalmente un’immediatezza diventata ossessiva. […]

Si vorrebbe che la meta fose sempre a portata di mano, che fosse cancellata ogni distanza.

Il libro ha già perso questa gara di velocità, perché la distanza è l’essenza stessa del testo.

Il valore della lettura non risiede nel fatto di raggiungere il punto finale, ma nella strada percorsa nella sua direzione sin dalla prima parola. La vittoria del downloader sta nella fine, raggiunta nell’istante, mentre la lettura si realizza in itinere e nel tempo che esso richiede.

Tendere verso l’immediatezza o concedersi il tempo della mediazione: la nostra epoca sempre aver già deciso.

[…] Era inevitabile che una società contraria alla trasmissione alla fine bandisse il libro, quando non promette puro divertimento.

Se ci liberiamo dei libri, avremo più opportunità di essere liberi, nuovi, di essere noi stessi?

*Frasi liberamente tratte dal bellissimo testo: “I diseredati” di Francois-Xavier Bellamy, edito da Itaca. testo che consiglio agli insegnanti, ma non solo.

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