“Questo può servire al modo con cui San Benedetto ha neutralizzato le miserie della vita.
Aveva trovato il mondo, fisico e sociale, in rovina, e la sua missione fu di restaurarlo in modo non scientifico, ma naturale, non come accingendosi a farlo, non dichiarando di farlo entro un tempo preciso, o con un intervento raro e specifico oppure con una serie di interventi, bensì in modo così calmo, paziente, graduale, che spesso, finchè l’opera non fu compiuta, non si sapeva che fosse all’opera.
Fu un restauro piuttosto che una visita, una correzione o una conversione.
Il mondo nuovo che contribuì a creare fu una crescita più che una struttura.
Si vedevano uomini silenziosi sparsi per il paese, se ne scoprivano nella foresta, intenti a scavare, ripulire, costruire; e altri uomini silenziosi, che nessuno vedeva, stavano seduti nel freddo del chiostro, si affaticavano gli occhi e tenevano fissa la propria attenzione mentre con fatica decifravano, copiavano e ricopiavano i manoscritti che avevano salvato.
Non c’era nessuno a “contendere o gridare”, o ad attirare l’attenzione su quanto stava accadendo; ma poco a poco la palude boscosa divenne un romitaggio, una casa religiosa, una fattoria, un’abbazia, un villaggio, un seminario, una scuola di cultura, e una città.
Strade e ponti lo unirono ad altre abbazie e città che erano cresciute in modo simile; e ciò che l’altezzoso Alarico il feroce Attila avevano fatto a pezzi, questi pazienti uomini di meditazione l’avevano rimesso insieme e l’avevano fatto vivere di nuovo.
E poi quando dopo molti anni avevano ottenuto le loro pacifiche vittorie, forse giunse qualche nuovo invasore, e in un’ora, con il fuoco e la spada, distrusse il loro lento e perseverante lavoro.
L’unno succedette al goto, il longobardo all’unno, il tartaro al longobardo; il sassone si ritirò soltanto perché il danese potesse prenderne il posto.
Giacevano nella polvere la fatica e la civiltà di secoli – chiese, scuole, chiostri, biblioteche – e ad essi non rimaneva altro che cominciare tutto da capo; ma questo lo fecero senza rancore, con prontezza serena e tranquilla, come se il momento della ricostruzione fosse arrivato per qualche legge di natura, ed essi fossero come i fiori, gli arbusti e gli alberi da frutta che coltivavano, e che, quando vengono maltrattati, non si vendicano né ricordano il male, ma di nuovo producono rami freschi, foglie, o fiori, forse con maggior profusione e migliore qualità, proprio perché i vecchi erano spazzati via con violenza.
Se un luogo santo veniva dissacrato, i monaci ne sceglievano un altro e in questo tempo c’erano uomini ricchi o potenti che ricordavano e amavano il passato abbastanza da desiderare di farlo restaurare in futuro.”
Tratto da “Benedetto, Crisostomo, Teodoreto” – Newman. Ed Jaca Book