Il fanciullino – Pascoli

Il fanciullino di cui parla Pascoli non è altro che il cuore dell’uomo; ineludibile e irriducibile.
Cosa risveglia il cuore dell’uomo? Cosa mai potrà salvarlo? “Siano… in una chiesa a funzioni di festa…o in in teatro
a una bella musica..”
E’ la bellezza che salverà il mondo

È dentro noi un fanciullino che non solo ha brividi, come credeva Cebes Tebano che primo in sé lo scoperse, ma lagrime ancora e tripudi suoi. Quando la nostra età è tuttavia tenera, egli confonde la sua voce con la nostra, e dei due fanciulli che ruzzano e contendono tra loro, e, insieme sempre, temono sperano godono piangono, si sente un palpito solo, uno strillare e un guaire solo.
Ma quindi noi cresciamo, ed egli resta piccolo; noi accendiamo negli occhi un nuovo desiderare, ed egli vi tiene fissa la sua antica serena maraviglia; noi ingrossiamo e arrugginiamo la voce, ed egli fa sentire tuttavia e sempre il suo tinnulo squillo come di campanello. Il quale tintinnio segreto noi non udiamo distinto nell’età giovanile forse così come nella più matura, perché in quella occupati a litigare e perorare la causa della nostra vita, meno badiamo a quell’angolo d’anima d’onde esso risuona. E anche, egli, l’invisibile fanciullo, si perita vicino al giovane più che accanto all’uomo fatto e al vecchio, ché più dissimile a sé vede quello che questi.

Il giovane in vero di rado e fuggevolmente si trattiene col fanciullo; ché ne sdegna la conversazione, come chi si vergogni d’un passato ancor troppo recente. Ma l’uomo riposato ama parlare con lui e udirne il chiacchiericcio e rispondergli a tono e grave; e l’armonia di quelle voci è assai dolce ad ascoltare, come d’un usignuolo che gorgheggi presso un ruscello che mormora.

Non l’età grave impedisce di udire la vocina del bimbo interiore, anzi invita forse e aiuta, mancando l’altro chiasso intorno, ad ascoltarla nella penombra dell’anima. E se gli occhi con cui si mira fuor di noi, non vedono più , ebbene il vecchio vede allora
soltanto con quelli occhioni che son dentro di lui, e non ha avanti sé altro che la visione che
ebbe da fanciullo e che hanno per solito tutti i fanciulli.

Ma è veramente in tutti il fanciullo musico? Che in qualcuno non sia, non vorrei credere né ad altri né a lui stesso: tanta a me parrebbe di lui la miseria e la solitudine. Egli non avrebbe dentro sé quel seno concavo da cui risonare le voci degli altri uomini;
e nulla dell’anima sua giungerebbe all’anima dei suoi vicini. Egli non sarebbe unito all’umanità se non per le catene della legge, le quali o squassasse gravi o portasse leggiere, come uno schiavo o ribelle per la novità o indifferente per la consuetudine. Perché non gli uomini si sentono fratelli tra loro, essi che crescono diversi e diversamente si armano, ma tutti si armano, per la battaglia della vita; sì i fanciulli che sono in loro, i quali, per ogni poco d’agio e di tregua che sia data, si corrono incontro, e si abbracciano e giocano.

Siano gli operai, i contadini, i banchieri, i professori in una chiesa a una funzione di festa; si trovino poveri e ricchi, gli esasperati e gli annoiati, in un teatro a una bella musica: ecco tutti i loro fanciullini alla finestra dell’anima, illuminati da un sorriso o aspersi d’una lagrima che brillano negli occhi de’ loro ospiti inconsapevoli; eccoli i fanciullini che si riconoscono, dall’impannata al balcone dei loro tuguri e palazzi, contemplando un ricordo e un sogno comune.

Se è in tutti, è anche in me. E io, perché da quando s’era fanciulli insieme, non ho vissuto una vita cui almeno il dolore, che fu tanto, desse rilievo, non l’ho perduto quasi mai di vista e di udita. Anzi, non avendo io mutato quei primi miei affetti, chiedo talvolta se io abbia vissuto o no. E io dico sì, perché ivi è più vita dove è meno morte, e altri dice no, perché crede il contrario. Comunque, parlo spesso con lui, come esso parla alcuna volta a me, e gli dico: Fanciullo, che non sai ragionare se non a modo tuo, un modo fanciullesco che si chiama profondo, perché d’un tratto, senza farci scendere a uno a uno i gradini del pensiero, ci trasporta nell’abisso della verità…

Tu mi hai convinto di cosa che non era nel mio pensiero. E nemmeno quest’altro: Tu mi hai persuaso a cosa che non era nella mia volontà. Tu non pretendi tanto, o fanciullo. Tu dici che in un tuo modo schietto e semplice cose che vedi e senti in un tuo modo limpido e immediato, e sei pago del tuo dire, quando chi ti ode esclama: anch’io vedo ora, ora sento ciò che tu dici e che era, certo, anche prima, fuori e dentro di me, e non lo sapeva io affatto o non così bene come ora!

Poesia è trovare nelle cose, come ho da dire? Il loro sorriso e la loro lacrima; e ciò si fa da due occhi infantili che guardano semplicemente e serenamente di tra l’oscuro tumulto della nostra anima.

A volte, non ravvisando essi nulla di luminoso e di bello nelle cose che li circondano, si chiudono a sognare e a cercare lontano. Ma pur nelle cose vicine era quello che cercavano, e non avervelo trovato, fu difetto, non di poesia nelle cose, ma di vista negli occhi.

Giovanni Pascoli

 

 

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