Siamo giusti, non abbiamo pensato subito di imporgli la lettura come un dovere. All’inizio abbiamo pensato solo al suo piacere. I suoi primi anni ci hanno messo in uno stato di grazia e l’assoluto stupore dinanzi a questa nuova vita ci ha conferito una sorta di genialità. Per lui siamo diventati narratori. Dal primo sbocciare in lui del linguaggio abbiamo cominciato a raccontargli delle storie. Era un talento che ignoravamo avere (…).
Eravamo il suo romanziere, il narratore unico grazie al quale ogni sera lui si infilava nel pigiama del sogno prima di scomparire sotto le lenzuola della notte. O meglio, eravamo il Libro (…).
Che pedagoghi eravamo, quando non ci curavamo della pedagogia! (…)
Quando eravamo adolescenti non eravamo i clienti della nostra società. Commercialmente e culturalmente parlando, era una società di adulti. Vestiti comuni, cultura comune, il fratellino ereditava i vestiti del maggiore, mangiavamo le stesse cose, alle stesse ore, alla stessa tavola, la domenica facevamo le stesse gite (…)
Mentre oggi gli adolescenti son clienti a pieno titolo di una società che li veste, li distrae, li nutre, li educa. Noi andavamo alle festicciole, loro vanno in disco, noi leggevamo un libro, loro si sparano delle videocassette…A noi piaceva comunicare sotto l’egida dei Beatles, loro si rinchiudono nell’autismo del walkman (…).
Così procedono le nostre vite: lui nel traffico delle schede di lettura, noi di fronte allo spettro della sua bocciatura e il professore di lettere con la sua materia beffeggiata…Evviva il libro!(…)
La scuola non può essere una scuola del piacere, il quale presuppone una buona dose di gratuità. La scuola è una fabbrica necessaria di sapere che richiede uno sforzo. Le materie insegnate sono gli strumenti della coscienza. I docenti di queste materie ne sono gli iniziatori, e non si può pretendere da loro che vantino il carattere gratuito dell’apprendimento intellettuale, quando tutto, assolutamente tutto nella vita scolastica, – programmi, voti, esami, pagelle, cicli, orientamento, sezioni- esprime la finalità competitiva dell’istituzione, essa stessa indotta dal mercato del lavoro.
Che l’allievo di tanto in tanto incontri un professore pieno di entusiasmo che sembra considerare la matematica per se stessa, e la insegna come una delle Belle Arti e la fa amare in virtù della sua personale vitalità, e grazie al quale lo sforzo diventa un piacere, questo dipende dalla casualità dell’incontro, non dalla genialità dell’Istruzione.
E’ proprio egli esseri viventi di fare amare la vita, anche sotto forma di un’equazione di secondo grado, ma la vitalità non è mai stata inserita nei programmi scolastici.
Qui c’è l’utilità.
La vita è altrove.
Leggere si impara a scuola.
Quanto ad imparare a leggere…(…)
Si, ma quale dei miei impegni rubare a quest’ora di lettura quotidiana? Agli amici? Alla TV? Agli spostamenti? Alle serate in famiglia? Ai compiti?
Dove trovare il tempo per leggere?
Grave problema.
Che non esiste.(…)
Perchè questa donna, che lavora, fa la spesa, si occupa dei bambini, guida la macchina, ama tre uomini, frequenta il dentista, trasloca la settimana prossima, trova tempo per leggere e quel casto scapolo che vive di rendita no?
Il tempo per leggere è sempre tempo rubato. (come il tempo per scrivere, d’altronde, o il tempo per amare.)
Rubato a cosa?
Diciamo, al dovere di vivere.
Il tempo per leggere, come il tempo per amare, dilata il tempo per vivere.
Se dovessimo considerare l’amore tenendo conto dei nostri impegni, chi ci si arrischierebbe?
Chi ha tempo di essere innamorato?
Eppure, si è mai visto un innamorato non avere tempo per amare?
Brani tratti da: “Come un romanzo”, di D. Pennac, Ed Feltrinelli