Perchè studiare? – Ziomax

“Che fai tu, luna, in ciel…
a che tante facelle?… ed io che sono?”
Mi ha sempre colpito questo canto di Leopardi. Prima la luna e le stelle. Poi, nell’impatto con loro, la percezione di sé:
“e io che sono?”. Non un io astratto, quindi, come fosse un a-priori rispetto alla realtà; ma un io che si accorge di esserci proprio nell’urto con le cose, e che si manifesta come domanda, come desiderio di capire chi è e perché c’è.
Potenzialmente siamo in grado di formulare tante domande. Ma tutte queste domande confluiscono nella grande domanda: “chi sono io veramente?”
Anche Socrate amava sottolineare che l’imperativo del vivere è “conosci te stesso”.
Ma qual è la strada per scoprire chi sono? …..Il pensiero? Uno sforzo immaginativo? Una riflessione?
Conosco me conoscendo tutto ciò che si impatta con me.
L’io per conoscersi, ha bisogno di altro da sé. Questo dato emerge potentemente se guardiamo al bambino.
E’ nel rapporto coi genitori che vive l’avventura della scoperta di sé. Un bambino impara a dire “io” dicendo “mamma”.
Dicendo “io” un uomo riassume gli incontri fatti, gli avvenimenti vissuti, ciò che gli è accaduto, perché tutto ciò che accade contribuisce a svelare sè a se stesso.
Esemplare in questo senso è il viaggio di Dante. Come Dante conosce? Attraverso degli incontri che gli svelano ciascuno un pezzo di realtà, attraverso i diversi personaggi che lo introducono a tutti gli aspetti della vita, uomini che lo incuriosiscono e a cui lui può domandare. Fino all’ultimo incontro, nel paradiso, in cui gli sarà svelata la totalità della realtà.
Se lo studio non si colloca all’interno di questa dinamica, se non fa parte della meravigliosa avventura della conoscenza di sé, se ognuno non fa esperienza nel quotidiano del grande viaggio di Dante, a che pro studiare?
Studiare non è forse incontrare pezzi di realtà, persone o momenti di persone che hanno qualcosa da dire alla mia vita ?
“Vagliate tutto e trattenete ciò che vale” diceva San Paolo. Dopo che hai letto un libro, se lo giudichi, non sei più quello di prima. Ma il libro che hai appena letto devi giudicarlo. E dopo che hai fatto un esercizio di matematica devi saper esplicitare cosa hai imparato di più della realtà, cosa ti si è chiarito svolgendo quel particolare esercizio.

Ma dove peschi i criteri per giudicare? Li possiedi. Li hai dentro di te. Costituiscono il tuo cuore.
Non basta “fare” le cose. Non basta che accadano. Occorre che tu ci sia con tutto te stesso, che sia disposto a paragonare le cose che accadono con il tuo cuore, con il desiderio che originalmente ti costituisce.
In questo, nessuno può sostituirsi a te. E non hai alibi. E’ un lavoro tuo.

Se non è così, se il nostro io non centra con l’impegno che assumiamo, l’urto con le cose è semplicemente subìto, e ci sentiamo come sassi che rotolano, ingranaggi di un meccanismo asfittico che ci lascia continuamente alienati, insoddisfatti. E passiamo la vita a desiderare di essere sempre da un’altra parte. Se ci pensiamo tanti istanti della vita li passiamo sognando di essere da un’altra parte.

Ma c’è un rimedio? Si può impedire questa meccanicità alienante?
Dante, come noi, era confuso; impaurito. Ma poi ha incontrato Virgilio, Beatrice, Bernardo. Degli amici.
Occorre incontrare qualcuno che ti prenda per mano e ti introduca alla conoscenza della realtà. Occorre un maestro. Qualcuno che non si sostituisca a te, ma che ti richiami, ti sostenga, che tenga desto il tuo cuore, che ti faccia continuamente guardare alla verità di te. E che ti incoraggi quando sbagli (perché anche l’errore fa parte dell’avventura del conoscere!)

Altro che la scuola delle competenze. Il problema della scuola è questo. Non quante ore dedicare all’inglese e quante all’informatica. Ma la scuola come luogo di educazione, come luogo in cui un ragazzo è introdotto alla conoscenza di sé e della realtà.

E’ un lavoro studiare. Che di stupore in stupore ti fa capire sempre più chi sei tu. Che bello quando si impara qualcosa di nuovo per sé. Quel che impari ti è dato, lo incontri. Non è il prodotto di un tuo pensiero. In questo senso la conoscenza è un’avventura. Perché non sai mai cosa trovi dietro l’angolo. La conoscenza è qualcosa che avviene e ogni volta che avviene è come dell’aria fresca che entra dalla finestra.

Certo, come tutti i lavori, e qui dobbiamo proprio andare contro la mentalità comune, è implicata una fatica.
La mentalità comune, il potere, dice sempre una menzogna quando afferma che ciò che ti fa far fatica non è per te.
Son balle e lo sapete. Perché anche un hobby, anche coltivare qualcosa che ti appassiona, implica, sempre una fatica.
Anche il voler bene.
La fatica è una condizione. C’è la fatica perché ci sono le stelle. Una condizione, non un’obiezione.
Tutto ciò che è vero, ce lo dice l’esperienza, ci fa far fatica. Tutto.

Pensate anche una mamma che ama suo figlio se non fa fatica…

 

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *