Abbiamo una costituzione che non emula le leggi dei vicini, in quanto noi siamo
più d’esempio ad altri che imitatori. E poiché essa è retta in modo che i diritti
civili spettino non a poche persone, ma alla maggioranza, essa è chiamata democrazia:
di fronte alle leggi, per quanto riguarda gli interessi privati, a tutti spetta
un piano di parità, mentre per quanto riguarda l’amministrazione dello stato,
ciascuno è preferito a seconda del suo emergere in un determinato campo, non
per la provenienza da una classe sociale, ma più che per quello che vale. E per
quanto riguarda la povertà, se uno può fare qualcosa di buono alla città, non ne
è impedito dall’oscurità del suo rango sociale.
Liberamente noi viviamo nei rapporti con la comunità, e in tutto quanto riguarda
il sospetto che sorge dai rapporti reciproci nelle abitudini giornaliere, senza adirarci
con il vicino se fa qualcosa secondo il suo piacere e senza infliggerci a vicenda
molestie che, sì, non sono dannose, ma pure sono spiacevoli ai nostri occhi.
Senza danneggiarci esercitiamo reciprocamente i rapporti privati e nella vita pubblica
la reverenza soprattutto ci impedisce di violare le leggi, in obbedienza a
coloro che sono nei posti di comando, e alle istituzioni, in particolare a quelle
poste a tutela di chi subisce ingiustizia o che, pur essendo non scritte, portano a
chi le infrange una vergogna da tutti riconosciuta. […]
Amiamo il bello, ma con semplicità, e ci dedichiamo al sapere, ma senza debolezza;
adoperiamo la ricchezza più per la possibilità di agire, che essa offre, che
per sciocco vanto di discorsi, e la povertà non è vergognosa ad ammettersi per
nessuno, mentre lo è assai più il non darsi da fare per liberarsene.
Riuniamo in noi la cura degli affari pubblici insieme a quella degli affari privati,
e se anche ci dedichiamo ad altre attività, pure non manca in noi la conoscenza
degli interessi pubblici.
Siamo i soli, infatti, a considerare non già ozioso, ma inutile chi non se ne interessa,
e noi Ateniesi o giudichiamo o, almeno, ponderiamo convenientemente le varie
questioni, senza pensare che il discutere sia un danno per l’agire, ma che lo sia piuttosto
il non essere informati dalle discussioni prima di entrare in azione. E di certo
noi possediamo anche questa qualità in modo differente dagli altri, cioè noi siamo i
medesimi e nell’osare e nel ponderare al massimo grado quello che ci accingiamo a
fare, mentre negli altri l’ignoranza produce audacia e il calcolo incertezza. È giusto
giudicare superiori per forza d’animo coloro che distinguono chiaramente le miserie
e i piaceri, ma non per questo si lasciano spaventare dai pericoli.
E anche per quanto riguarda la nobiltà d’animo, noi ci comportiamo in modo
opposto a quello della maggioranza: ci procuriamo gli amici non già col ricevere
i benefici ma col farli. Chi ha fatto il favore è un amico più sicuro, in quanto è
disposto con una continua benevolenza verso chi lo riceve a tener vivo in lui il
sentimento di gratitudine, mentre chi è debitore è meno pronto, sapendo che
restituisce una nobile azione non per fare un piacere ma per pagare un debito.
E siamo i soli a beneficare qualcuno senza timore, non tanto per aver calcolato
l’utilità del beneficio ma per la fiducia che abbiamo negli uomini liberi.
(Tucidide, La guerra del Peloponneso)