Se l’uomo rinuncia a se stesso – Andrej Tarkovskij

Tratto dall’ultimo scritto del regista russo Andrej Tarkovskij

Il desiderio che questo film (Il Sacrificio, ndr) fosse il più importante
per me è diventato sempre più insopprimibile, man mano che coglievo il
marchio del materialismo impresso sul volto del nostro pianeta, man mano che
mi scontravo con la sofferenza umana, e incontravo sempre più
persone vittime di psicosi, segno della loro incapacità e non volontà di
capire come mai la vita aveva perso per loro ogni attrattiva e valore,
e stavano così a disagio.
L’uomo contemporaneo si trova ad un bivio, davanti a lui si pone un dilemma:
o continuare questa cieca esistenza consumistica, sottomessa all’inarrestabile
avanzare delle nuove tecnologie e alla crescente accumulazione dei beni materiali,
o cercare e trovare la strada verso la responsabilità spirituale che, in ultima analisi,
potrebbe diventare la salvezza reale non solo per lui come individuo,
ma per la stessa società.
Ciò significa tornare a Dio.
E’ l’uomo che deve risolvere questo problema, solamente lui può trovare
la strada verso un’equilibrata vita spirituale.
Proprio scegliere in questo senso potrebbe essere un passo verso la responsabilità
nei confronti della società. Questo è appunto il sacrificio, ossia il concetto
cristiano del sacrificio di sè. Ma sovente sembra che l’uomo scarichi decisioni,
che dice non dipendere da lui, su delle fantomatiche “leggi oggettive”,
che decidono tutto al suo posto. Avanzo l’ipotesi che l’uomo contemporaneo,
nella gran massa, non è pronto a rinunciare a se stesso e ai propri beni in favore
di altre persone e in nome di ciò che è Supremo, Essenziale;
è pronto piuttosto a mutarsi in un robot.
Sono ben cosciente che certamente l’idea del sacrificio, dell’amore evangelico
verso il prossimo, non gode oggi di molta popolarità, anzi è tutt’altro che popolare:
nessuno esige da noi il sacrificio di sè, che viene classificato come qualcosa di
“idealistico” o di irrealizzabile. Ma noi possiamo constatare con i nostri occhi i
risultati dell’esperienza passata: la perdita dell’individualità a favore di un
egocentrismo apertamente dichiarato; la trasformazione dei legami umani in relazioni
prive di significato, non solo tra persone, ma anche tra gruppi e, ciò che è
ancor più terribile, la perdita dell’ultima possibilità
di salvezza, quella di tornare a una vita spirituale degna dell’uomo.
Invece che la vita spirituale noi oggi esaltiamo la vita materiale e i suoi
cosiddetti valori. Come conferma del fatto che il mondo è disgregato dal
materialismo porto un piccolo esempio.
Dalla fame ci si può facilmente salvare mediante il denaro.
Oggi noi cerchiamo di usare lo stesso triviale meccanismo marxista del
“denaro” e della “merce” per salvarci dal disagio spirituale.
Una volta percepiti i sintomi di una incomprensibile inquietutine,
della depressione e della disperazione, ci affrettiamo immediatamente a
ricorrere allo psichiatra o, il che è più chic, al sessuologo;
costoro costituiscono il padre spirituale, che guarisce la nostra anima
e la riporta alle condizioni normali.
Una volta tranquillizzati paghiamo l’onorario.
E quando sentiamo il bisogno di amare, ci dirigiamo al bordello,
e anche qui saldiamo il conto in contanti, anche se in un certo senso
il bordello può anche essere superfluo.
Eppure sappiamo perfettamente che né l’amore né la tranquillità d’animo
si possono acquistare con il denaro.
…..

Oggi l’umanità civilizzata, in massima parte non credente, ha un atteggiamento
del tutto positivistico.
Neppure i positivisti si accorgono dell’assurdità del marxismo quando afferma che
l’universo esiste da sempre e che il mondo è casuale. Come è possibile?
Aiuto! Ci derubano!
L’uomo contemporaneo non è più capace di sperare negli avvenimenti inattesi,
nei fatti contraddittori che non rispondono alla logica “normale”,
ancor meno è pronto ad ammettere, fosse anche solo in linea teorica, il miracolo,
e a credere alla sua magica forza.
La devastazione spirituale causata dall’assenza di questa qualità dovrebbe
da sola indurci a meditare, a fermarci.
Tuttavia per arrivare a questo, l’uomo stesso deve capire che la sua vita
non può essere valutata come misura umana, ma è nelle mani del Creatore
e che l’uomo deve abbandonarsi alla Sua volontà.
……

Il mio film non vuole esaltare né stroncare i protagonisti del pensiero
contemporaneo o il loro modo di vivere.
Mio desiderio fondamentale era porre e far emergere le domande
fondamentali della nostra esistenza e chiamare lo spettatore alle sorgenti
spente e inaridite della nostra esistenza. I film, le espressioni visive,
sono in grado di farlo non peggio della parola, soprattutto nel momento
in cui la parola ha perso il suo significato misterioso ed esorcizzante.
….

Noi ci sentiamo soffocare sotto la massa smisurata di informazioni, e tuttavia
i messaggi più importanti, capaci di cambiare la nostra vita, non giungono
fino alla nostra coscienza.
Il nostro mondo è spaccato in due metà: il bene e il male.
Spiritualità e pragmatismo.
Il nostro mondo umano è progettato e modellato in base a leggi materiali,
così come l’uomo ha plasmato la sua società sul modello della morta materia.
Ha trasportato su di sé le leggi della natura inanimata.
Perciò non crede allo Spirito e rifiuta Dio. Perchè si nutre di solo pane.
Come potrà dunque vedere lo Spirito, il Miracolo, Dio, se queste cose secondo
il suo punto di vista non edificano nulla di concreto? Esse non sono necessarie.
E l’uomo semplicemente non le vede.
Ma là dove non ce n’è bisogno, dove regna l’empirismo puro, improvvisamente,
di tanto in tanto, emergono dei prodigi, come la fisica.
E la stragrande maggioranza dei più illustri fisici contemporanei,
come è noto, chissà perchè, crede in Dio.
Una volta ho discusso su quest’argomento col fisico sovietico Landau, ora defunto.
Luogo dell’azione: la Crimea; una spiaggia, ciottoli.
Io: Secondo lei, Dio esiste o no?
Landau (gettandomi un’occhiata inerme): credo di si.

C’è nell’uomo la speranza di sopravvivere nonostante i segni incombenti
di una quiete apocalittica, preannunciata da fatti evidenti?
La risposta a questa domanda viene forse dall’antica leggenda
dell’esistenza di un albero inaridito, privo della linfa vitale, leggenda
che ho posto a base del film più importante per la mia biografia artistica.
Un monaco, passo dopo passo, secchio dopo secchio,
attinge l’acqua e annaffia un albero inaridito, sicuro, senza ombra di dubbio,
che la sua opera è necessaria, e non abbandona neppure per un istante
la certezza nella potenza miracolosa della sua fede nel Creatore.
Per questo fa esperienza del miracolo:
una mattina i rami dell’albero riprendono vita e si coprono di giovani foglie.
Forse questo è solo un miracolo? No, è la verità.

Andrej Tarkovskij

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